Immobile dalla gloria all’ingratitudine – Calcio

Immobile dalla gloria all’ingratitudine – Calcio

Immobile dalla gloria all’ingratitudine – Calcio


Nell’apertura del film Crash, che vinse l’Oscar nel 2006, una voce fuori campo recitava: “In una città vera si cammina, sfiori gli altri passanti, sbatti contro la gente. Qui non c’è contatto fisico con nessuno: stiamo tutti dietro vetro e metallo. Il contatto ci manca talmente che ci schiantiamo contro gli altri per sentirne la presenza”. Si riferiva a Los Angeles, ma potrebbe parlare di Roma. La sua identità contemporanea è definita, più che da ogni altra situazione, dagli incidenti stradali. Sono la sua cronaca, la sua geografia, la sua antropologia. Collegano mondi che altrimenti orbiterebbero nella città come satelliti in universi paralleli: una mattina di primavera un centravanti della nazionale si scontra con un tranviere. Non si incontrerebbero mai, ma si scontrano. E lì i destini si frangono. Almeno quello di Ciro Immobile. Non si accertano responsabilità, si ritirano querele, ma l’urto incurva la traiettoria dell’avvenire, inducendola a precipitare.

Nell’ultima settimana avvengono due cose. Una: il centravanti non compare nella lista dei convocati del ct Spalletti. Gli preferisce una mezza intuizione del suo predecessore (Retegui), un’ipotesi azzardata (Lucca) e uno che al Napoli impiegava di rado (Raspadori). L’Europa s’allontana. Due: di nuovo sulla strada, in mezzo al traffico, un tifoso della sua Lazio lo insulta davanti al figlio, senza che nessuno intervenga a spiegargli che non è il caso. Che qualunque cosa sia accaduta con Sarri (nel cui schema non era previsto né mai ha trovato posto), quell’uomo ha fatto cose che altri umani vestiti con la stessa maglia non hanno mai sognato o segnato. Perfino il suo presidente invece lo consegna con disinvoltura all’archivio degli alibi scaduti, delle glorie invecchiate. Il verbo “dimenticare” si coniuga al presente, persona ultra-plurale: tutti dimenticano. E Roma s’allontana. Nel suo futuro dicono ci sia l’Arabia Saudita. Non fosse che lui è lo stesso che non aveva funzionato in Germania e Spagna, che non aveva avuto voglia di studiare una lingua straniera, di adattarsi a un uso, o un costume. E dovrebbe andare su Marte, lui che non si accende oltreconfine e ultimamente neppure fuori dal Grande Raccordo Anulare. Come già ad altri, i soldi non gli daranno la felicità, ma è improbabile che diano presto alla sua attuale squadra uno che ne eguagli i risultati.

Dopo il crash nessuno e niente restano uguali a prima.

Le vite di uomini illustri celebrati nell’effimero mediatico sono scritte sull’acqua: sembra immobile, ma sta passando.



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